black dick

 

BLACK DICK
bugie bianche capitolo primo
uno spettacolo di alessandro berti
cura gaia raffiotta
fotografie
daniela neri
una produzione
 casavuota
con l’aiuto di gender bender festival – teatro comunale laura betti – ater – barfly il teatro fuori luogo – opera prima festival- mezza stagione errante – ogni casa è un teatro

‘Il maschio nero americano è un modello…’
Comincia così BLACK DICK, dal modello indiscusso dei giovani neri in tutto il mondo: il nero americano, il rapper, il militante, lo sportivo.  Ma cosa c’è dietro questa influenza, questa moda universale, questa vittoria apparente, almeno in fatto di coolness, del nero americano?

Lo spettacolo ripercorre la storia dell’uso del corpo del nero da parte della società bianca europea e americana, dalle colonie ai trionfi nello sport, dallo schiavismo ai linciaggi, dalla musica alla pornografia. Lo fa virando continuamente tra la conferenza, la confessione, la standup comedy, la narrazione sarcastica e il concerto.
Scoprendo la linea che lega l’immagine iconografica delle Black Panthers a quella dei cantanti Hip Hop, decostruendo lo stereotipo di maschio nero per come il porno on line lo propone, con l’aiuto di grandi maestri come Bell Hooks, Cornel West e James Baldwin, BLACK DICK si inoltra in una riflessione liminale sul concetto di appropriazione culturale, sul senso di un impegno condiviso, tra bianchi e neri (prendendo a simbolo la genesi della canzone STRANGE FRUIT), e sulla necessità di una lotta comune per l’uguaglianza.

Lo fa però portando il discorso in territori strani della cultura di massa, poco battuti, là dove sono i corpi ad essere esposti e ad acquisire significato simbolico. E lo fa, deliberatamente, parlando dell’America per alludere all’Italia, lasciando le ultime parole del lavoro alla voce poetica, profetica di Baldwin: “Se fossi in voi studierei, e non farei un’altra Harlem, non farei come abbiamo fatto noi”.

Dicono di Black Dick

“Black Dick è uno spettacolo sul razzismo, sul machismo e sulla violenza in forma di raffinata conferenza, di pacata conversazione, che si tinge di ironia spinta al sarcasmo, si accende e poi porta per strade molto diverse da quelle che sembrava aver imboccato. L’attore e autore viaggia negli stereotipi sul sesso del nero (si chiama Black Dick, non solo per pudore di non sparare la traduzione, cazzo nero, ma anche perché alterna italiano e inglese, smontando modi di dire, frasi fatte, gergali, rivelandone le parti nascoste), ci prende per mano con un tono inizialmente didattico, che presto ci tradisce, ci trasporta
nella violenza degli impulsi e del mercato, nella contraddizione di neri emarginati che per reagire all’oppressione dei bianchi si trasformano in clown, in menestrelli, o in ribelli che indossano però gli stereotipi forgiati dalla parte contrapposta. Berti si rivolge agli interlocutori: avanza dati, osservazioni, con ironia, e obietta alle proposizioni appena avanzate, dentro sé stesso. Il tono “naturale”, normale, da conversazione, si sgretola sotto le domande, sotto le destrutturazioni e gli slittamenti, aprendo strade all’immedesimazione in pezzi più teatrali e cantati. Ed è proprio in questi pezzi che sta il segreto che fa di
questa conferenza sul fantasma sessuale del nero un vero grande spettacolo capolavoro. Pezzi che ti stringono la pancia, il cuore, l’intelligenza, nei quali l’interprete, con la distanza della maschera, si fa verissimo, portandoci nel cerchio magico, emozionante della tragedia, noi, complici o semplici spettatori
o sodali. L’autore insinua l’idea che l’unica strada, contro il razzismo, contro il pregiudizio, contro una realtà ridotta a paure, spettri, incubi, rivendicazioni, aggressioni, atteggiamenti di superiorità, l’unica via sia quella di costruire ponti verso gli altri, ascoltando. E il ritmo ci trascina, placido, cullante, come una
verità sussurrata sottovoce, con arte che si esibisce per nascondersi e per lasciarci soli davanti alla nostra responsabilità. Una voce di quelle alle quali non si può impedire di sconvolgerci. Semplicemente.”
M. Marino, Storia di cazzi neri e bugie bianche, Doppiozero, 8 novembre 2018

“Ha dato gioia ritrovare un artista come Alessandro Berti, che stimavo già ai tempi de L’Impasto, una delle compagnie più aguzze e coraggiose degli ormai mitici anni Novanta. Berti, solo in scena, si presenta con una garbatissima e apparentemente ironica lezione-spettacolo, che tiene un tono sereno, quasi
amichevole per parlare di un tema aspro assai: Black Dick, questo il titolo (e non c’è forse bisogno di traduzione), affronta di petto un tema scivoloso, quello del tutto razzista del rapporto tra uomo bianco e uomo nero americano, ovvero dell’uso e dell’immaginario del corpo maschile nero, prendendo le mosse
dall’emblematico mondo della pornografia. Berti racconta, spiega, a volte cita: e le sue citazioni sono tasselli che seminano dubbi, domande, e che gradualmente aprono a una questione ancora più spinosa. Passata in fretta la curiosità morbosa di parlare delle dinamiche “interracial”, inteso come
categoria dei tanti hub porno, Berti evoca i grandi protagonisti della storia della liberazione nera, dai forse meno noti, come James Baldwin o Cornel West, Angela Davis o Bell Hooks, fino a Malcom X e Martin Luther King, per poi riflettere profondamente su uno dei temi all’ordine del giorno: la cosiddetta
“appropriazione culturale”, ossia quella tendenza a stigmatizzare ogni tentativo di parlare di altri o altro perché così facendo ci si “approprierebbe” delle culture altrui. La visione di Alessandro Berti è fortunatamente molto chiara e condivisibile: serve invece parlare, discutere, capire e far capire al di là di ogni ipocrisia perbenista e censoria. Black Dick è già stato recensito, e bene: si spera dunque che questo lavoro possa girare, il più possibile, proprio perché è un passo importante per quella che potrebbe e dovrebbe essere una lotta comune sempre più diffusa.”
A. Porcheddu, Gli Stati Generali, 18 luglio 2020

“Black Dick di e con Alessandro Berti, oggi, luglio 2020, sembra essere più attuale che mai. Berti (scrittore, regista e attore, formatosi alla Scuola del Teatro di Genova), pone l’accento qui su un particolare stereotipo: l’uso del corpo del nero da parte della società bianca. Berti ripercorre la storia di questo
pregiudizio: dallo sfruttamento nelle colonie ai linciaggi, fino ad oggi. Lo fa però in chiave sarcastica, decostruendo a poco a poco la mentalità bianca e invogliandoci a prendere parte a una lotta comune per l’uguaglianza. La scena è minimalista, “povera”, con solo una sedia capovolta e uno schermo sul quale
vengono proiettate, man mano, fotografie di personaggi e situazioni portanti della storia nera. Una drammaturgia – dello stesso Berti – che si rifà ai testi di bell hooks, Cornel West, James Baldwin: il punto vincente dello spettacolo sta proprio nel fatto che il pensiero di questi scrittori è attualizzato e spogliato da
qualsiasi retorica, “raccontato” da Alessandro Berti (unico attore in scena) che di volta in volta si fa presentatore, sociologo, storico, uomo comune. Bisognerebbe, ora più che mai, ripartire – tutti insieme – dalla conclusione dello spettacolo che Berti affida alle parole di Baldwin: “se fossi in voi studierei,
e non farei un’altra Harlem, non farei come abbiamo fatto noi”. Non facciamolo.”
F. Pace, Corriere dello Spettacolo, 18 luglio 2020

“Black Dick di Alessandro Berti è una decostruzione della mitologia bianca del “cazzo nero”. Berti dimostra come questo totem e i relativi tabù siano stati l’esito di una costruzione politica, così come la “blackness” del maschio americano è stata costruita in funzione del predominio dei bianchi. Partendo
dall’analisi critica di alcune categorie del porno, “interracial” ad esempio, il discorso prosegue toccando l’autobiografia di Malcolm X e quella di Eldridge Cleaver, già numero due delle Pantere Nere e personaggio esemplare di questa vicenda: da militante per la giustizia finisce per assecondare una deriva mistica
e reazionaria. A riguardo Berti cita la femminista bell hooks che critica l’interiorizzazione dello stereotipo bianco da parte del maschio nero. La performance ha anche un valore di contestazione del punto di vista dell’autore che mette in gioco la sua “bianchezza” e, dunque, la sua posizione di dominante. Berti termina il suo spettacolo con un invito a creare alleanze, in termini internazionalisti non in quelli inter-comunitaristi.”
R. Ciccarelli,Dinamopress, 20 luglio 2020

“Black Dick, conferenza, monologo, stand up comedy di Alessandro Berti, autore/attore sopraffino che in giacca e camicia s’inerpica in uno speech pungente, mai retorico. Prende parole non sue, dimenticate e ne fa esplodere la potenza in una performance in cui la narrazione diventa atto politico del ridare parola, demistificando, dall’interno, il punto di vista dominante da cui anche le minoranze guardano e sono costretti a guardare loro stessi, in una pericolosa oscillazione tra «denuncia dello stereotipo e identificazione». Il suo corpo in scena appare quasi per tutto il tempo neutrale rispetto alle questioni
affrontate, fino a quando l’attore non si produce in una versione caustica di Papa Was A Rollin’ Stone, brano del 1971 dei Temptations che racchiude il cuore di tutto lo spettacolo. Usando un dispositivo teatrale semplicissimo, quasi desueto, Berti colpisce nel segno, regalandoci un’ora preziosa che apre e dilata
più di una questione in questi tempi (mai finiti) di segregazione razziale.”
M.Giovannelli, M. Marino, E. Piergiacomi, F. Saturnino, La Risorgenza dei Festival, Doppiozero, luglio 2020

“Alessandro Berti si produce in una stand up comedy / lezione caustica e arguta sulla rappresentazione del corpo del maschio afroamericano dal punto di vista occidentale dominante, a partire dalle categorie del porno, da qui il titolo “Black dick”. Berti discorre prendendo in prestito le parole di Malcom X, Bell
Hooks, Bayard Rustin, Cornel West, James Baldwin. Parole “nere” dette da un “bianco”, per questo non assolutamente detonate, anzi: il merito di Berti è di avere indossato, abitato i panni scomodi dell’altro, di avergli restituito agency, in un’operazione (teatrale e politica) onesta e piena di ardore. Siamo tutti «run
away slaves».”
F. Saturnino, La Repubblica, 27 luglio 2020

Alessandro Berti a Piazza Verdi
https://bit.ly/2YmJ0al
Piazza Verdi, Rai Radio Tre, 29 giugno 2019

Bugie Bianche / Il corpo nero tra desiderio e memoria – intervista ad Alessandro Berti
www.spreaker.com/alessandroberti
Adil Mauro, La stanza di Adil, giugno 2020

Verso Santarcangelo Festival, intervista ad Alessandro Berti
thesoundcheck.it/verso-santarcangelo-festival-l-intervista-ad-alessandro-berti
D. Fabbri, The Soundcheck, 9 luglio 2020